Pietro Russo - Su "Vivere il Cantico delle creature. La spiritualità cosmica e cristiana di San Francesco" di Bormolini e Rondoni

 

Pietro Russo




"Vivere il Cantico delle creature, vivere la poesia" 

Leggere poesia è atto di presenza. Quella del lettore, qui e ora, che a sua volta evoca la “vera presenza” (G. Steiner) del testo metabolizzando nel proprio vissuto il fantasma-energia che si annida nelle parole. Da questo punto di vista, la poesia non è molto lontana dalla preghiera: una pratica verbale che irrompe nella vita dell’individuo e la modifica. I confini e i distinguo, ad ogni modo, cadono quando ci si ritrova davanti a un testo come il Cantico delle creature, dove la poesia trae forza dall’orazione e quest’ultima si sostanzia nel ritmo dei versi.

Con il presupposto di una lettura che vuole essere “presente”, Guidalberto Bormolini e Davide Rondoni firmano insieme Vivere il Cantico delle creature. La spiritualità cosmica e cristiana di San Francesco per le Edizioni Messaggero Padova (2024), lavoro che nasce nel solco delle celebrazioni per l’ottavo centenario degli avvenimenti salienti del francescanesimo (di cui lo stesso Rondoni presiede il Comitato nazionale), dall’approvazione della Regola alla morte del santo. Quella proposta da Bormolini e Rondoni, dunque, non è l’ennesima esegesi del testo francescano, ma una interpretazione che interroga il Cantico a partire da una esperienza della vita che si declina, rispettivamente, nei modi dell’assistenza spirituale (Bormolini) e della poesia (Rondoni). Che cosa vuol dire, infatti, “vivere” il Cantico delle creature se non cum-prendere la sapienza, il sapore di ogni parola della lauda, cioè il sale dell’estremo messaggio di san Francesco affidato ai confratelli come testamento da cantare? Muoversi tra le righe del Cantico «come ospiti pieni di premura, con delicata attenzione», per dirla con Battiato, significa ritornare al principio di un’opera che non è concepita come creazione poetica ex novo, bensì come ripresa e rimodulazione del canto dell’universo che mai esaurisce la sua forza generativa, come ricorda Bormolini citando la Lettera ai Romani. La creaturalità di Francesco si pone nel segno di una doppia visione dell’essere umano nel cosmo – sigillo grandioso della creazione divina e, al tempo stesso, infimo tassello di una globalità da far tremare vene e polsi –, ovvero di una «dismisura» che per Davide Rondoni è la sorgente da cui prende a salmodiare la voce poetante: Altissimu…

La canzone di Dio, a cui umilmente quella del santo assisano vuole associarsi, è la meta del percorso poetico del Cantico: gli elementi della natura, i simboli cosmici, la “rivoluzione” cristica del perdono, l’introiezione della morte sono le tappe di una esperienza terrena del sacro che conduce, previo svuotamento dell’io egotico, nonché in comunione con ogni aspetto del creato, alla vibrazione primordiale dell’universo. L’attraversamento della patristica cristiana, e in particolare di quelle esperienze riconducibili alla realtà del misticismo, è quindi funzionale, nella lettura di Guidalberto Bormolini, a gettare una luce sull’ossatura del canto di Francesco-creatura. Lodare il Signore per i motivi che il santo pone all’attenzione significa riconoscere che «lo lodiamo perché ce li ha donati, ma è lodato da loro stessi e lo lodiamo attraverso gli elementi» (p. 39). Francesco-poeta è solo un tramite, un «sacerdote» che custodisce il canto dell’universo, e la sua genialità, come nota Rondoni, sta nel nascondere la sua voce orante in quel cum – segno di partecipazione fraterna alla vita – che chiama in causa il vincolo indissolubile tra Creatore e creature.

Vivere il Cantico di Francesco è l’opposto di quella tentazione sempre in agguato di disprezzare il mondo, di girare gli occhi da un’altra parte davanti alle sue ingiustizie e storture, oppure di scegliere l’abbraccio mortifero delle vanità. Su questo, soprattutto, pongono l’accento i non-puristi Bormolini e Rondoni. La vita del Cantico delle Creature continua nella vita del suo lettore che lo insuffla, e gli dà nuova voce per innalzare ancora, a ottocento anni di distanza, il canto della nostra piccola grandezza: Altissimu…





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