Ivana Rinaldi - D come DESIDERIO
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Ivana Rinaldi |
Il desiderio è un sentimento dirompente ma vitale. Come il silenzio, colmo di attese, è uno stato dell’io ricco di fantasie, speranze, dubbio.
Rappresenta il motore dell’esistenza che costruisce la nostra identità: senza non esistiamo. I desideri ci distinguono e ci rendono unici, uniscono e separano.
A questo proposito abbiamo un volume ricco di spunti per approfondire questo sentimento (o idea), Desiderio di Valeria Bizzarri per la collana Nuovo Lessico Critico di Castevecchi (2023), con numerosi interventi che ci aiutano a entrare nella complessità del tema. A partire da Platone fino a Lacan.
L’autrice individua vari passaggi storici che hanno contribuito a definire un discorso così complesso che investe la sfera emozionale, psicologica, filosofica, e non ultima sociale e culturale: “Nessuno ci spiega cos’è (....) eppure accompagna implacabile ogni nostro momento dell’esistenza, ne è lo stesso motore, tacito architetto di qualsivoglia moto dell’anima e dell’intelletto” (Desider(i)o, p. 15).
E forse per questa ragione, scrive Valeria Bizzarri, ha assunto vari nomi: cypris, epithunia (appetito), hormè (slancio), orexis, pathos, eros.
Platone è il pensatore che di più ha contribuito a diffondere l’idea di desiderio, specialmente nel Fedro dove il filosofo descrive l’animo umano come un intero fatto di diversi: sulla biga guidata da un auriga (animo razionale) agiscono due cavalli, uno bianco e docile che rappresenta l’animo ardimentoso (Thymoeidés), l’altro meno vivace è l’anima appetitiva (Epithymetikòn) desideroso di beni terreni.
Poiché le parti dell’anima non sono separabili, ragione, desiderio, passione, dovranno convivere in armonia.
Di Aristotele viene sottolineata la sua attenzione verso la fragilità e la vulnerabilità che fanno degli umani esseri bisgnosi di affetti, legami, amicizie. La natura umana pur così fragile mostra la sua parte più intima, la sua ricchezza.
Per Socrate il desiderio è mancanza, qualcosa che non si ha, per cui l’oggetto, gli oggetti del nostro desiderio sono inarrivabili.
Coerentemente con la filosofia classica, la psicanalisi mette l’accento sul fatto che il desiderio come movimento essenziale della vita da un lato denuncia la mancanza, dall’altro una presenza che attrae.
Poiché il desiderio, al contrario del bisogno, è indefinibile, altro non è che la vita stessa. Sarà Lacan a dire che il desiderio è il nostro rapporto con l’altro, e, superando Freud - desidero quindi sono - ci parla del doppio movimento verso l’altro a cui aspiriamo e verso di noi. Un meccanismo presente in ogni relazione: senza lo sguardo dell’altro siamo nessuno.
Desiderio è ancora molto altro dalla tensione amorosa o erotica, desiderio del nuovo, del sapere, volontà di superare i nostri confini come moderni Ulisse quando oltrepassa le Colonne di Ercole, o di volare alto come Icaro.
Desideri trasgressivi e positivi allo stesso tempo, che possono assumere toni tragici come in Icaro o nel Faust di Goethe, un desiderio di onnipotenza che lo porterà a cedere la sua anima a Mefistofele.
Quanta attualità troviamo nei moderni Faust: “Mi intendi. Non si tratta di godersela. Al delirio mi consegno, al più straziante dei godimenti, all’odio amoroso, al disgusto salubre”. E sebbene Faust sia salvato dall’amore di Margherita, rimane l’inquietudine che il desiderio smodato, senza freni, né inibizioni, incontrollato, ci inghiotta.
E anche in questa accezione del desiderio che il volume di Valeria Bizzarri si sofferma: sui rischi di un modello produttivo e sociale come il capitalismo che non mira solo ad accumulare ricchezza, ma a sua volta crea e induce desideri, bisogni, e consumi indotti, con tutto ciò che ne consegue: i nostri desideri assumono i contorni di una merce, dove pure i nostri corpi e le relazioni sottostanno alle leggi del mercato.
Il capitalismo si nutre di quella forma di desiderio che Lacan aveva chiamato “desiderio d’altro”. L’informazione e la pubblicità costruita ad arte “conquista ogni angolo della nostra anima” scrive Byung Chul Ham in Le non cose (In Desiderio cit., p. 69).
E sulle esigenze reali della vita ancora la filosofa femminista Maria Luisa Boccia: “Vi è un’incuria nel linguaggio sempre più sciatto, improvvisato, nella ricerca dell’effetto mediatico. Nei contenuti, indifferente, dettato da opportunismi, o da subalternità alle leggi dell’economia. Vi è incuria nelle relazioni, sciatte, strumentali, ciniche, spesso regolate tra interesse e potere. Far leva sulla cura, sulle relazioni, la dipendenza che ci lega l’uno all’altro, accresce la nostra libertà ( e il nostro desiderio autentico)”.
Scrive Valeria Bizzarri a conclusione del suo percorso, bisogna invece tornare al Leib che significa “corpo vivo”, corpo legato alla psiche.
Il nostro corpo non solo dato biologico, secondo le indicazioni di Schopenhauer, riprese più tardi da Husserl, e ancora da Maria Luisa Boccia, si fa corpo desiderante, espressivo e significativo. E vulnerabile.
Accettare che noi siamo desiderio e quindi vulnerabili, soggetti alla sconfitta, alla malattia, alla frustrazione, alla morte, è la premessa per accettare chi siamo e correre il rischio di farci a nostra volta desiderio.
Vorrei che si insegnasse a desiderare il desiderio attraverso la cura
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