David La Mantia - Di come si forma una giuria: dall'antica Ekklesia alle giurie dei Premi contemporanei
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David La Mantia |
L’ekklesia
era l’assemblea generale, in uso nelle città dell’antica Grecia, ove i
cittadini nel pieno possesso dei loro diritti, erano chiamati a esprimere il
proprio parere e ad approvare le leggi della polis.
Di
solito queste riunioni erano effettuate nelle piazze, tanto che spesso venivano
chiamate Agorà, mentre a Sparta l’assemblea era chiamata Apella e
vi partecipavano i soli Spartiati. Ad Atene le leggi erano elaborate dalla Bulè
(da βουλεύω “deliberare”), un organismo non solo legislativo, ma anche di
controllo sui magistrati e sugli arconti.
I
provvedimenti adottati dovevano poi essere approvati dall’ecclesia (ἐκκλησία),
che, come abbiamo già detto, riuniva tutti i cittadini nel pieno possesso dei
loro diritti civili e politici.
Nel
lungo processo di sperimentazione politica, Atene, per incentivare la presenza
anche dei meno abbienti, giunse a elargire una sorta di gettone di presenza a
chi partecipasse alle riunioni della ἐκκλησία, tanto che, per accogliere
la moltitudine dei presenti, le riunioni erano indette sul colle di Pnice,
l’unico luogo in grado di accogliere così tante persone.
Badate
bene, ho preferito il termine “ekklesia”, a quello latino di ecclesia.
Quest’ultima parola, infatti, fin dalle origini del Cristianesimo, significò
“riunione di fedeli”; basti pensare all’Expositio in Ps. di Sant’Ambrogio, ove
il Vescovo di Milano, per significare il primato della Chiesa di Roma,
scrisse,: “Ubi Petrus, ibi Ecclesia, nulla mors sed vita aeterna”.
Ecclesia
indica una riunione dove tutti la pensano allo stesso modo, dove tutti seguono
le indicazioni di chi guida. Mi piace, invece, molto di più rifarmi al sistema
democratico in auge nell’antica città dell’Attica. Specialmente Atene, e in
generale la Grecia classica, precorsero i tempi, in ogni campo. Si pensi che la
visione geopolitica, oggi tanto di moda, era già presente in Tucilide, con il
concetto del contrasto strategico fra una talassocrazia e una tellurocrazia;
allo stesso modo in Atene, nel volgere di poco tempo si cercò di estremizzare
il portato della democrazia fino a sostituire, per alcune magistrature, il voto
con il sorteggio, ciò portò al fenomeno del populismo e alla
spettacolarizzazione della giustizia.
Ne
è una testimonianza diretta il processo a Socrate che, reo di non essere
politicamente allineato, fu accusato di empietà, da un prestanome: Meleto.
Lisia,
il più celebre retore del tempo, si offrì di difenderlo, sicuro di farlo
assolvere facilmente. I giudici, infatti, sarebbero stati circa 500 ed essendo
comuni cittadini, spesso di basso livello culturale, sarebbero stati facili
prede all’emozione. Il filosofo doveva limitarsi a condurre con sé la moglie e
i figli che, nel momento opportuno, avrebbero dovuto gemere e piangere, poi
Lisia avrebbe commosso i giudici e sarebbe stato un trionfo.
Socrate,
tuttavia, rifiutò: volle difendersi da solo per la sua fede nelle leggi e nella
ragione, perciò fu condannato, per la prima volta, anche se con un basso scarto
di voti.
Tutto
ciò ci insegna che l’eliminazione del merito, della preparazione e la non
considerazione di parametri, quali la professionalità e la cultura, uniti alla
sostituzione del ragionamento con la passione, comporta un declino inesorabile
della società in cui si vive.
E
cosa c'entra la poesia in questo? Nei concorsi cosa è meglio per voi? Una
giuria popolare, con tutti i suoi limiti ed impreparazione, o una oligarchia di
aristocratici, di esperti, di cattedratici? Esiste davvero una via di mezzo?
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