Ivana Rinaldi – Rosa Luxemburg: Dappertutto è la Felicità
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Ivana Rinaldi |
Quando
parliamo di sentimenti, parliamo anche di cuori pensanti, come nel caso di Rosa
Luxemburg.
La grande
rivoluzionaria polacca, la più innovativa teorica del socialismo dopo Karl
Marx, capace di infiammare le masse con i suoi discorsi, è capace di uscire
dalla categoria rigida della concezione materialistica della storia,
soprattutto nella corrispondenza (Lettere
1893-1919, Editori Riuniti, 1979), mentre si avventura nel campo delle
emozioni, nella loro fecondità esistenziale e politica, rivelando un originale
impasto tra fragilità e forza.
Scrive
alla sua amica Sonia Liebknecht in una lettera pubblicata da Karl
Kraus nel luglio 1920 sulla rivista Fackel:
“Me ne sto qui distesa e sola, in silenzio, nell’oscurità, e intanto il mio
cuore pulsa di una gioia interiore (...). Vorrei donarvi la mia inesauribile
letizia interiore”, scoprendosi calma e serena, nonostante il carcere.
Il 17
febbraio 1917 confida all’ amica Mathilde Jacob, dal carcere di Wronki
in cui è reclusa, che l’unica epigrafe che vorrebbe sulla sua tomba fosse
il verso della cinciallegra.
Il suo
modo di partecipare alla vita è la compassione: per gli esseri umani, ma
anche per gli animali, le piante.
Confessa
nello spazio protetto delle lettere di sentirsi più a suo agio “in un giardinetto,
in un campo, in mezzo all’erba e ai calabroni, che in un congresso di partito”.
E aggiunge: ”Cionostante, spero di morire sulla breccia, in una battaglia di
strada o in carcere”, in un doloroso equilibrio in cui consiste il lascito
più grande di Rosa Luxemburg.
Proprio
negli anni del carcere Rosa, in uno stato di sconforto, scrive lettere
struggenti: “perché meravigliarsi della guerra (si riferisce alla I
Guerra e ai crediti votati dal partito socialista tedesco) se le persone
possono vivere per decenni in una strada costeggiata da olmi e non aver mai
notato com’è un olmo quando fiorisce...” E la stessa indifferenza riguarda
gli animali.
“Se ne
può trovare e raccogliere un po’ ad ogni angolo di strada.”
Pochi
cenni, ma significativi, dove l’idea di socialismo sembra allargarsi e trovare
il suo fondamento nella capacità di com-patire l’altro e con l’altro. Una
riflessione morale e cognitiva, sociale e politica della compassione, che
coinvolgerà molti filosofi tra cui Lévinas. Nelle sue lettere non manca
l’esortazione all’azione. Scrive all’amica Mathilde Wurm da Wronki,
il 28 dicembre 1916: “Appena potrò di nuovo mettere il naso fuori, voglio
andare all’assalto della vostra società di rospi e disperderla a furia di
squilli di tromba, schiocchi di frusta e mastini... Stavo per scrivere come
Pentesilea, ma voi, per dio, non siete certo degli Achille! Ti è bastato come
augurio di buon anno? E allora vedi di restare un essere umano. Essere umani è
la cosa più importante. E significa essere saldi, lucidi, e allegri, sì,
allegri nonostante tutto e tutti, perché lamentarsi è il mestiere del debole.
(...) Pur con tutto il suo orrore, il mondo è così bello, e lo sarebbe ancor di
più se non fosse infestato da deboli e vigliacchi”.
La
disposizione degli esseri umani è per Rosa Luxemburg la tendenza ad
essere felici. Bisogna intendersi sul concetto di felicità. C’è una dimensione
dell’essere felici che è il sentimento della propria illimitata espansione che
però trova un freno nella realtà delle cose, tanto che il senso comune afferma
che la felicità non è di questo mondo è lo è per brevi momenti.
Scrive
Alberto Natale in L’educazione
alla felicità (Aliberti, 2012): essa è una virtù, come scrivevano i grandi
classici. I greci la chiamavano aretè, dalla
stessa radice di ars, che consiste
nell’abilità di superare le difficoltà. Mai più vero nel caso di Rosa
Luxemburg.
Ogni
momento, anche il più tragico, ci può offrire degli slanci che osiamo definire
felicità, persino il dolore quando vinto. La dimensione di questo stato d’animo
è la propensione all’apertura, di guardare nelle cose umane, nella natura, le
loro novità: lo sbocciare di un fiore, il cambio di stagione, gli elementi
naturali, il movimento o il canto di un uccello. La parola chiave è gustare,
come si gusta il vino: non ci si ubriaca ma si assapora, di osservare e
partecipare al fluire della vita.
La
felicità esige competenza e sapienza, un’educazione alle giuste relazioni con
l’Altro, umano e non umano. “Essere umano significa gustare con gioia la
propria vita sulla grande bilancia del destino, se i tempi lo chiedono, ma
anche sapersi rallegrare di ogni giorno di sole e di ogni splendida nuvola” (Dappertutto è la felicità, p.45). Un
atteggiamento antiretorico, ma resistente alle insidie aperte al flusso della
Storia. “Mi sento a casa in tutto il mondo ove vi siano nuvole, uccelli e
lacrime umane” (p.49).
Nelle
lettere ai compagni e agli amici e amiche emerge dunque una voce libera e
indomita, un’arte della gioia curiosa e stupita, e questo suo sguardo ci
consegna una verità allo stesso tempo intima e politica. Qualcosa per cui
battersi con passione e che assomigli alla bellezza.
“Dalla
mia cella sono legata con mille fili sottili a mille creature grandi e piccole
e reagisco a tutte con inquietudine, dolore, sensi di colpa. Sento che anche Lei
soffre per gli anni perduti senza aver vissuto davvero. Ma pazienza e coraggio!
C’è ancora molto da vivere. Stiamo assistendo all’affondare del vecchio mondo,
ogni giorno ne scompare un altro pezzo (...) e la cosa strana è che la maggior
parte delle persone non a se ne accorge affatto ed è convinta di continuare a
camminare sulla terraferma.”
La
abbraccio.
La sua
Rosa
(Lettera
a Sophie Liebknecht. Breslavia, 12 maggio 1918)
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