Melania Valenti - Patrizia Cavalli: come le onde del mare
Melania Valenti |
Sull’onda del successo del recente documentario sulla sua vita, Le mie poesie non cambieranno il mondo, Italia, 2023, attualmente visibile su Raiplay[1], mi getto a capofitto, e per l’ennesima volta, sui versi di colei che per prima amò definirsi Poeta: Patrizia Cavalli (1947/2022). E sempre di più confermo dentro di me ciò che di lei ho sempre pensato, cioè che fosse una persona tanto al di sopra di tutto da non avere mai paura di mostrarsi vera in ogni ambito si muovesse. Vera la sua vita, vera la sua poesia, manifestazione dell’ulteriore verità che traspare anche da ogni suo capolavoro guardato attraverso l’occhio della macchina fotografica.
Patrizia Cavalli trasformista, eclettica, Artista dalle mille sfaccettature, sempre con il gusto ironico dello sberleffo, anche quando amava stupire il pubblico accorso a sentirla recitare i suoi stessi versi. L’ironia di uno sguardo apparentemente scanzonato si riflette nel taglio crudo della sua scrittura poetica, una scrittura musicalmente ineccepibile, di una arguzia come poche, soprattutto quando condensa nella brevità degli epigrammi un pensiero etico che offre continui spunti di riflessione.
Non solo poeta, non solo fotografa, non solo attrice né soltanto autrice di testi per il teatro, nel 2013, insieme alla cantautrice Diana Tejera, realizza il libro-disco Al cuore fa bene far le scale, edito da Voland-Bideri; con Chiara Civello, scrive poi il brano E se, Premio Betocchi 2017. Nel 2019, con il suo primo e unico romanzo, Con passi giapponesi, vince il Premio Campiello e, nello stesso anno, traduce per Einaudi, Anfitrione di Molière, Sogno di una notte di mezza estate e Otello di William Shakespeare.
Eternità e morte insieme mi minacciano:
nessuna delle due conosco,
nessuna delle due conoscerò[1]
***
Non giochi più, mangi soltanto,
ma il tuo collo rimane piccolo.
E hai tante pulci![2]
***
Né morte né pazzia mi prenderà:
un tremore delle vene forse
un’acuta risata, un ingorgo
del sangue, un’ebbrezza limitata.[3]
È un continuo alternarsi di modernità e tradizione, nella sua scrittura, come nella lirica di seguito riportata, in cui si ritrovano anafore (adesso…), simploche (adesso…) e versi liberi, enjambement (ragione/ di spogliarsi…) e interruzioni, che esprimono negli ultimi versi quel continuo cercare qualcosa, che, una volta raggiunta, porta al rimpianto per ciò che si è perduto.
Vi è la presenza/l’assenza della persona amata, la raggiunta libertà che altro non è che l’invocazione di quando prigione voleva dire presenza, nella rassegnazione ad una solitudine raggiunta a costo dell’amore.
Adesso che il tempo sembra tutto mio
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,
adesso che posso rimanere a guardare
come si scioglie una nuvola e come si scolora,
come cammina un gatto per il tetto
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso
che ogni giorno mi aspetta
la sconfinata lunghezza di una notte
dove non c'è richiamo e non c'è più ragione
di spogliarsi in fretta per riposare dentro
l'accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,
adesso che il mattino non ha mai principio
e silenzioso mi lascia ai miei progetti
a tutte le cadenze della voce, adesso
vorrei improvvisamente la prigione.[4]
Vi si legge, nel volume, una costante amarezza per la vita che scorre e che va via,
Seguita la vita come prima
con gente in piedi, seduta,
e che cammina.[5]
motivo continuamente alternato ad una forza corporale e carica di sensi, con una magistrale tenuta lirica e poetica nel poliptoto, o nell’omoteleuto a chiudere le due strofe.
Coprimi grandemente
scioglimi
e in me resta.
E poi fammi restare
lenta chiusa
dentro la tua festa[6]
La natura diviene acqua, diviene onda del mare, che offre l’occasione per uno dei frequenti richiami alla filosofia che formò tanta parte della sua vita, per descrivere il continuo, incessante andirivieni dell’onda, il suo formarsi e tras formarsi in qualcosa che, alla fine, rimane identico. Identico eppur mutato, infinito cambiamento di una identica sostanza
L’onda che si ritira e si allontana
dalla riva
dove alzandosi e crollando
ha fatto la sua uscita
non sapendo delle altre che la precedevano e che la seguivano
e che erano il suo avanzare e il suo cedere,
ha perduto la superficie e rientrando
nelle acque profonde si è confusa
nel suo proprio corpo
dove prepara attraverso i millenni
la sua prossima identica uscita
il suo prossimo identico crollo.[7]
Lungo l’intera raccolta appare spesso il motivo del perdono, espresso nella lirica a seguire, mediante l’uso di assonanze e omoteleuti.
Questo nuovo malessere che mi confeziono
mi serve per raggiungere il perdono.
Perdo danaro al gioco, mi svuoto di sostanza,
mi tolgo alla misura della tua bilancia[8].
Ma di cosa chiede perdono, la nostra Poeta? Dove rintracciarne l’origine, se non forse in un atavico senso di colpa, lungo, costante, incessante, dalle radici ancestrali e che probabilmente neanche la stessa Cavalli ha mai sondato?
In chiusura, riporto uno stralcio di ciò che di lei scrisse Ruggero Guarini, giornalista e scrittore acuto e controverso scomparso nel 2013, parole che assai bene rendono ciò ho cercato di trasmettere di questa Donna unica e irripetibile
Ph. da Corriere.It |
“Mistura tra erotismo e purezza, audace tenerezza, candore e intelligenza, saggezza e futilità. Leggerezza e profondità, allegria e mestizia, azione, strafottenza concretezza e grazia. Accortezza, negligenza, serietà e buffoneria. Gentilezza e brutalità, delicatezza e sfacciataggine, innocenza e maturità. Eternità, sprezzatura, esattezza, fugacità.”
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