David La Mantia - Il patto, il tradimento, la vendetta. Attualità del carme 58 di Catullo
Molti studenti non si attendono di trovare tratti violenti, volgari e aggressivi in un poeta noto per la sua grazia e raffinatezza. Va detto, comunque, che il labor limae, l'attenzione alla forma, non esclude l'uso di un lessico espressionistico a dir poco. Si pensi, per esempio, alla parola Mentula ad indicare l'organo sessuale maschile.
Ed eccoci al carme 58, proposto nella mia personale (e criticabile) traduzione
Caeli, Lesbia nostra, Lesbia illa,
illa Lesbia, quam Catullus unam
plus quam se atque suos amavit omnes,
nunc in quadriviis et angiportis
glubit magnanimi Remi nepotes.
O Celio, la mia Lesbia, quella Lesbia,
proprio quella Lesbia, che sola amò
Catullo più che se stesso e i suoi tutti,
ora divora tra incroci e vicoli
i nipoti del magnanimo Remo.
Sul piano retorico, confermo il vocativo iniziale e considero "nostra" come un pluralia maiestatis, per cui scelgo la traduzione "mia", nonostante Celio fosse anch'egli uno tra i tanti amanti di Lesbia. Ma davvero Catullo avrebbe accettato di dividere con altri la sua donna? Formalmente mantengo la struttura in parallelo con epanadiplosi di illa e Lesbia, sacrificando il chiasmo del poeta di Verona (Lesbia illa, illa Lesbia) in favore di una epanalessi (quella Lesbia, proprio quella Lesbia). Rispetto la scelta della contrapposizione di posizione antitetica tra unam e omnes propongo l'uso della anastrofe tipica del dettato latino con Catullo successivo al Verbo che regge.
Su glubit si é molto discusso. Spella, scortica, graffia sono le traduzioni più frequentate. Anche spezza le reni. Verbi relativi all'azione di una prostituta. Io scelgo la versione "divora" per due motivi: per il valore metonimico ed iperbolico e per la possibilità di creare un omoteleuto con "ora". È quindi sia una soluzione musicale che di senso.
Il finale rispetta l'ironia dell'assunto catulliano, con l'ironia di magnanimo riferito antifrasticamente al più violento dei gemelli e con la perifrasi tutta, ampliata iperbolicamente ai Romani, ad un'intera generazione latina spolpata da questa donna degenere.
Lesbia, chiamata così in onore della poetessa Saffo, era in realtà Clodia, moglie di Quinto Metello Celere, sorella del famigerato Clodio, il profanatore della Dea Bona, festa esclusivamente femminile, che lui aveva sporcato con la sua presenza. Era il luogotenente di Cesare, impegnato in Gallia, conosciuto per la sua empietà. Se teniamo conto che l'altro uomo di fiducia del vincitore di Farsalo, Sallustio, rischiò pene gravissime per aver sottratto beni, per corruzione e concussione multiple, viene il dubbio che l'amante di Cleopatra non scegliesse con acume i suoi. E che forse certe pratiche fossero estremamente diffuse.
Lesbia, dunque. Matrona e amante appassionata di mille amanti. Donna libera, ingannatrice, furba, manipolatrice, una narcisista a sentire questo Catullo tradito e l'orazione di Cicerone, in favore proprio del Celio citato nell'apostrofe iniziale, che dipinge Clodia come una “meretrice”: “non solo nell'agire, ma soprattutto nel vestirsi e nella scelta delle compagnie, dallo sguardo infuocato e dall'eccessiva libertà di linguaggio, dall'esagerare con i baci e con gli abbracci (cose incompatibili con una matrona romana).
In chiusura, è opportuno ricordare che la poesia di Catullo è, come sarà per Ovidio, soprattutto un lusus, un gioco raffinato letterario, legato alla tradizione poetica precedente e soprattutto all'invettiva, allo psogos e dall’aiskrologia, tipiche del metro giambico (caratterizzata dal tono violento, talora dal body shame, dall'offesa personale, da una insistita volgarità di temi e lessico). Occorre allora forse interpretare il testo in modo ambivalente: da una parte come una provocazione iperbolica, dall'altra, la contrapposizione tra passato e presente consente al poeta di esplorare il tema della fides, lo scadimento del presente, l'impossibilità di mantenere amore e passione costanti nel tempo.
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