Ivana Rinaldi - La sfera dei sentimenti: l’amore
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di Ivana Rinaldi |
Che i sentimenti e le emozioni non siano solo espressioni viscerali e primordiali e vanno sottratte in parte alla sfera neurobiologica e soggettiva, lo hanno affermato gli storici e le storiche, prima fra gli altri Lucien Fevre e Marc Bloch, fra i fondatori della Scuola delle Annales. Sono invece “disposizioni culturali” che sono associate a gesti, parole, codici comunicativi che mutano nel corso del tempo, tanto da poter parlare di un mindfulbody ovvero di un corpo pensante. (Jan Plampet, Storia delle emozioni,Il Mulino 2018). Su questo tema ho scritto in passato per mettere in risalto quanto le grandi pensatrici come Simone Weil, Etty Hillesum, Edith Stein, e persino la più grande rivoluzionaria della modernità, Rosa Luxemburg, siano state capaci di trasformare il corpo e le emozioni in pensiero, e viceversa. Vale a dire fare del corpo, un corpo pensante, e del pensiero un pensiero incarnato.
Tra i sentimenti l’amore ha un suo posto privilegiato. Amore per l’Altro, nella sua accezione più ampia, amore inteso nella sua infinita gamma di possibilità. Un corpo “incerto”, intermittente, come lo definisce Barbara Mapelli nel suo Infiniti amori (Ediesse, 2013) che tuttavia persiste. Specialmente quando parliamo di amore tra esseri umani, tra uomo e donna, tra donna e donna, tra uomo e uomo. Nel Simposio, Erissimaco constata ironicamente di aver letto da qualche parte un panegirico del sale ma niente su Eros, ed è proprio perché censurato che si decide di parlarne, come oggi si parlerebbe di Amore e non di Politica, di Desiderio (amoroso) e non del Bisogno (sociale).
C’è sempre una frattura tra il dire sociale e il dire poetico, scrive Octavio Paz in La duplice fiamma. (Garzanti, 1994). Da sempre filosofi/e, scrittori/scrittrici, poeti, hanno fatto della narrazione amorosa l’oggetto privilegiato della loro scrittura. Pensiamo a Dante, ai poeti del Rinascimento, a Stendhal, Goethe, fino ai contemporanei. La letteratura ritrae i cambiamenti della società e a sua volta li prepara e li profetizza: la progressiva cristallizzazione della nostra immagine dell’amore non è stato solo frutto delle modificazioni dei costumi, ma anche dell’evoluzione della poesia, del teatro e del romanzo. Le rappresentazioni che ne sono state date nel corso del tempo, in poesia e in narrativa, e che investono anche i miti, la musica, la pittura, le arti in genere, ci interrogano se sia possibile raccontare l’amore anche da un diverso punto di vista: quello femminile, anche per sottrarlo alle banalizzazioni diffuse. Nel racconto di questo sentimento, le donne sono rappresentate secondo stereotipi, pensiamo a Eva e Elena, capaci di dominare il destino dell’umanità, o “mangiatrici” di uomini come Circe, o pazienti spose come Penelope. E si potrebbe continuare all’infinito. I classici, Eschilo, Euripide, Omero, Virgilio, ripropongono una costante del rapporto uomo donna: l’abbandono affinché gli uomini riescano nelle loro imprese. Tra i romanzieri, Tolstoj scrive che l’amore è per un uomo il desiderio di dimenticarsi. Le stesse grandi scrittrici, Jane Austen, Emily Brontė, fino alle contemporanee Alice Munro e Anna Maria Ortese prendono atto di questa discrasia: i loro personaggi/e sono attraversati da sofferenze, ambiguità, che investono i legami d’amore e il conflitto tra desiderio dell’altro e aspirazione alla libertà. Come trasformare questo sentimento (e la sua rappresentazione) così complesso e ambivalente, così fragile e potente al tempo stesso - l’amore è vulnerabilità, scrive San Juan de la Cruz, una piaga delicata, una ferita deliziosa – e al tempo stesso, ricucire la scissione di origine ebraico-cristiana, che ha diviso umano e natura, anima e corpo, fede e intelletto, libertà e necessità, una scissione che ha finito per riassumere tutte le opposizioni tra soggettività e oggettività, e sottrarlo a una certa narrazione e a vissuti.
Scrive Octavio Paz: “Non c’è scampo? Sì, c’è in alcuni momenti. Uno di questi è l’amore in cui le sensazioni si uniscono al sentimento e entrambi allo spirito: ed è l’esperienza della totale estraneità da sé stessi, un ritorno all’origine, al luogo che non si trova nello spazio e che è la nostra patria originale. La persona amata è, a un tempo terra incognita e casa natìa, sconosciuta e riconosciuta. (....) L’amore è vita piena, unita a se stessa, il contrario della separazione. Nella sensazione dell’abbraccio, l’unione degli amanti diventa sentimento, e questo a sua volta si trasforma in coscienza: l’amore è la scoperta dell’unità della vita”.
La fusione implica l’accettazione della morte, non la vince ma la integra alla vita, non ci sottrae al tempo, ma può schiuderlo e sfidarlo attraverso la sua trasformazione fino alla com-passione o compatìa come la definisce Paz, quella che anima l’amore che invecchia con noi, come nella coppia primordiale di Filomena e Bauci e persino di Adamo e Eva. L’amore richiede scelta e esclusività - la frontiera tra amore e erotismo - al contrario dell’amicizia; reciprocità, l’accordo dell’altro, la sua volontà, un elemento che confina con l’altro elemento costitutivo: la libertà. Nessuno degli elementi primordiali ha vita autonoma, ognuno è in relazione con l’altro.
Allo stesso tempo, scrive Maria Zambrano dobbiamo coltivare la coscienza della solitudine (e della separazione definitiva). Siamo così al teatro dell’abbraccio degli opposti e del suo scioglimento che non è né affermazione, né negazione, ma accettazione.
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