Emanuela Sica - "OFELIA" - Poesia inedita di Emanuela Sica, con breve nota di David La Mantia -

 

Emanuela Sica


Dimmi, Amleto, di che materia era fatto il tuo amore?

Omnia vincit Amor. Cioè, l'amore travolge tutto, distrugge ogni cosa. Questo pensava davvero Virgilio. E questo pensava Guido Cavalcanti. L'amore ti prostra, ti schianta, ti conduce alla morte. E ti fa impazzire. Ofelia è uno degli archetipi della fine a cui conduce questa incessante passione. Come è stata interpretata da Emanuela Sica? Come un'anima candida, lontana dai complotti che sono carne di questo mondo. Sottolineandone la dolcezza e l'incapacità di adeguarsi ad un mondo insopportabile ed avaro. Avaro di emozioni, di speranze. Come una anticipatrice delle sofferenze di Antonia Pozzi, di Virginia Wolfe, di Silvia Plath.

La morte, qui, è comunque squallore e dolore, non ha nulla di eroico e romantico ( “misero è quel sonno che si schiude sott'acqua”). 

Sembra talora di rivedere nella Sica alcune immagini della Ofelia di Millais, una estenuata sensualità preraffaelita (“seni acerbi”) e slanci catulliani ( “strozzando la candida rosa nel solco dell'aratro”)

David La Mantia

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L' “Ophelia” di Sir John Everett Millais 




OFELIA (di Emanuela Sica)

 

Misero quel sonno che si schiude sott’acqua

come foglia che appena s’affaccia in superficie

ondeggia nelle liquide selve il fantasma e la sua brezza

cantando solstizi di non detti.

I crini ondulati al migrare della corrente

i salici a piangere e sospirare

i venti di Norvegia a soffiare sui seni acerbi.

Sventura cadde al tramonto

dileguando il nettare nel suo calice

“Quel ramo, invidioso, s'è spezzato (…)

le sue vesti/appesantite dall'acqua assorbita,

trascinaron la misera dal letto/del suo canto ad una fangosa morte”

strozzando la candida rosa

nel solco dell’aratro.

 

Liquida calma a riempire le orecchie

distrutte le mura che costruii

a difesa dei loro richiami

“Fear it, Ophelia, fear it, my dear sister,

and keep within the rear of your affection”

“Springes to catch woodcocks”[1]

Inascoltate preci trasparenti voci.

Incustodito l’avvertimento

la mente fuggì al pascolo della tempesta.

Il rituale d’annegamento ricama nuovamente

la carnale diatriba tra il vero e il fasullo.

Eccomi al lunare richiamo

riemersa e sommersa dal passato

dissennata devozione

mi cucì nella costola d’Amleto

nelle mie vene galoppa il suo sangue maledetto.

Arcigna è la mia pena e si riannoda

si slaccia di sera in sera come l’innocenza che mi tolse.

Le olmarie appassite, perduta la via di casa

ineludibile strada per la mia paura

appassito il piacere

dimenticai la vita al torrente.

 

Dimmi Amleto,

di che materia era fatto il tuo amore?

Ai miei sguardi cambiasti pelle e coscienza

la svestizione d’un puledro in somaro.

Euforico e malinconico, oscuro e sconnesso.

Disvelato l’arcano della corona insanguinata

a colloquio con lo spettro di tuo padre

scopristi l’opera indegna di tuo zio

per sposare Gertrude, succedergli al trono.

Perché oscurasti la verità alla mia assetata conoscenza?

Incespicando nei rovi dei tuoi mutamenti

perdonai le offese dileguandole nella follia.

Strano quel sortilegio che mi colse

mi cibai della verità solo nel trapasso.

Mi amavi, sol ora comprendo.

Neppure desideravi uccidere il mio sangue

nascosto dietro un tendaggio.

Credevi che a spiarti fosse re Claudio.

Malasorte versò quello stesso veleno nei miei pensieri

danzai nel ventre delle tempie svagate

la presenza assenza

cantilenando sconnessi pensieri di turbamento.

L’usignolo che si credeva trota

confidando nelle ali, improbabili pinne

incapace di cogliere la tragedia

a spingerlo sotto limacciose coperte.

Così identica melodia

d’insolita disgrazia liberarono le mie corde

fino a che riempita la gola morte mi rapiva

mentre i passi del mio destino

si muovevano altrove

a chiedere in pegno amore al vento

che mai divenne respiro.

 

A oriente ritorno

con gli astri a svanire

liuti e nifee ad accompagnarmi

nel letto del riposo eterno.

Passerà un altro sole

e riaffiorerà la mia pallida supplica

from this water of condemnation.[2]

 

 

Note per la comprensione del personaggio di Ofelia

Tragica figura della famosa tragedia di William Shakespeare, "Amleto" (Hamlet in inglese). La sua storia è una trama intrecciata di amore, follia e tragedia. Figlia di Polonio, consigliere del re di Danimarca, e la sorella di Laerte. Nel corso della storia, Ofelia diventa oggetto di affetto per il principe Amleto. Tuttavia, a causa degli intrighi di corte, tra cui la morte sospetta del padre di Amleto, il principe diventa sempre più tormentato e distante. Amleto, convincendosi che la pazzia sia il mezzo migliore per indagare sulla morte di suo padre, inizia a trattare Ofelia con freddezza e disprezzo. Questo atteggiamento contribuisce al declino mentale di Ofelia. Nel frattempo, suo fratello Laerte è scontento del comportamento di Amleto e parte per la Francia. La tragedia si complica quando Ofelia perde il padre, Polonio, ucciso accidentalmente da Amleto. La notizia della morte di Polonio, combinata con il comportamento bizzarro di Amleto, provoca la rovina mentale di Ofelia. La sua mente instabile la porta a comportamenti errati e confusioni. La donna muore tragicamente annegata in circostanze misteriose. La sua morte viene descritta come un possibile suicidio, ma la scena è ambigua e le circostanze non sono del tutto chiare.



[1] In corsivo le parole estratte dal primo atto, terza scena di "Amleto" di William Shakespeare:

 

"Tèmilo, Ofelia, tèmilo, mia cara sorella,

e tieniti al di là del tuo affetto,

fuori dal tiro e dal pericolo del desiderio.

La fanciulla più prudente è già abbastanza prodiga,

se svela la sua bellezza alla luna.

La virtù stessa non sfugge a colpi calunniosi.

Il cancro tormenta i boccioli della primavera

troppo spesso prima che si schiudano,

e al mattino e alla rugiada liquida della giovinezza,

le influenze contagiose sono più imminenti.

Sii prudente, dunque. La miglior sicurezza risiede nella paura.

La giovinezza si ribella a se stessa, anche se nessun altro è vicino."

 

Queste parole fanno parte del consiglio di Polonio a sua figlia, avvertendola di non coinvolgersi troppo con il principe Amleto, sospettando che l'affetto di Amleto potrebbe non essere sincero. Polonio consiglia ad Ofelia di essere cauta e di mantenere le distanze per evitare potenziali danni o delusioni. L'immagine delle "trappole per beccacce" suggerisce insidie o tranelli posti per catturare prede inconsapevoli, rafforzando l'avvertimento di Polonio sui potenziali pericoli dell'amore e del desiderio.

[2] Da questa acqua di condanna.


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Emanuela Sica è nata ad Avellino nel 1975 e vive a Guardia Lombardi in Irpinia. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Un angelo all’improvviso (2006, Delta 3 Edizioni), Il diario segreto di Giulietta (2023, Controluna Edizioni); poesie in antologia: Le strade della poesia (2011, Delta 3 Edizioni), Il Giglio di grano (2013 e 2018, Delta 3 Edizioni), Pietre Vive (2013, Delta 3 Edizioni); poesia e prosa: La ragazza di Vizzini (2018, Delta 3 Edizioni, con M. Vespasiano), Il caso Antigone (2018, Pensa Editore, con L. Anzalone), Una storia senza fine (2021, Delta 3 Edizioni), Il sogno di Edipo e mitici amori (2021, Pensa Editore), Canne al vento (2022, Pensa Editore, cura insieme a L. Anzalone), Storia di una Violetta (2022, Delta 3 Edizioni). Ha pubblicato anche di narrativa: Uccelli di carta (1993), Assolo (2010, Edizioni Il Monte), Anatomia di anime (2010, Edizione Albatros Il filo, 2022, ristampa KDP Amazon), Cairano Relazioni Felicitanti (2014, Edizioni Mephite), L’Ultima Luna (2017, Pensa Editore), oltre a racconti in varie antologie; e il saggio ROSSO – Vdg-0 – Antologia sulla violenza di genere (2021, Delta 3 Edizioni). È avvocato cassazionista, giornalista pubblicista, attivista per i diritti delle donne contro la violenza di genere. Dirige l’Area Anti-Violenza di genere del Corpo Internazionale di Soccorso. Collabora a quotidiani, riviste, blog ed è direttore del quotidiano online Emme24.

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