LA MOSSA DEL PEDONE - In Principio fu...il Poeta

 


Daniela Stasi


Questo è il primo di una serie di miei interventi volti alla riflessione sul linguaggio, a partire dalle suggestioni legate alla Voce della Rivelazione. Voce che solamente il Poeta è stato in grado di cogliere coscientemente, intendendo con questo la capacità di cogliere la Voce dell'Ineffabile.
E non tratterò, dunque, il linguaggio come il mero veicolo, asettico, di informazioni, ma come il Luogo privilegiato, in cui, da sempre, si incontrano il sacro e l'umano. 
La Rivelazione trova proprio nell'espressione poetica indicazioni utili a comprendere il processo di trasmissione della voce, tanto da porsi come intreccio di voce divina e di voce umana. Un fenomeno che si realizza attraverso la percezione misteriosa, che collega le generazioni, tra un dire sospeso e una sospensione che dice. 

Del resto, è peculiarità del poeta inaugurare sempre un nuovo inizio, un nuovo avvenire. Laddove per altri sussiste il nulla, per il poeta il futuro è già presente, è già realtà. Il tempo nuovo, pur senza Dio.

E poiché il Dio delle rivelazioni, l'Ineffabile, non è raggiungibile dai concetti strettamente filosofici può nascere il progetto di cercarlo in una zona più profonda e originaria del pensiero: proprio là dove appaiono i simboli della poesia. Come non pensare, allora, alla voce del roveto ardente, che si rivela a Mosè! All'interno della realtà, il poeta percepisce una voce proprio là dove, per altri, non c'è nulla: nei vuoti, nei silenzi, nel non-espresso.
Ai confini della Parola, la voce del poeta si fa sentire esattamente dove termina il suo linguaggio e inizia la musica divina. Il silenzio parla di una presenza trascendente, presente nel tessuto del mondo.

A partire dal concetto biblico di Rivelazione, l'oggetto si espone all'esperienza umana e si lascia incontrare, donandosi come soggetto.
Ed è la parola della Vita a rivelarsi, quale fondamento del metodo fenomenologico. Nessun accesso e decifrazione della vita ha accesso fuori dalla vita stessa, nel fuori da sé. Anche i racconti biblici implicano sempre un intreccio tra fenomeni umani e Dio, che si offre all'esperienza umana

Lessi tempo fa un testo capitale di Gershom Sholem, teologo, filosofo e semitista israeliano (Il nome di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio, Adelphi 2001), in cui il pensatore si chiedeva quale fosse la dignità di un linguaggio dal quale Dio si è ritirato.

Ecco che, nell'immanenza del mondo, il poeta cerca di percepire ancora l'eco della parola della creazione. È la parola dei mistici, ma che da loro sembra scomparsa. La parola di quei mistici che cercano non il senso esprimibile, ma qualcosa che rimanga inespresso e che se mai si potesse esprimere non avrebbe un senso comunicabile.

C'è di mezzo una fede nel linguaggio, che solamente il poeta celebra come un assoluto, una fede in quel mistero che nel linguaggio è divenuto udibile. 
Solo al poeta è concesso di render conto della dignità di un linguaggio che non ospita più Dio. Come Kierkegaard, che esprime questa lotta dell'essere umano contro l'inesprimibile. Il fare del poeta, rispetto alla realtà, è il farsi originario dell'espressività. Una lotta sempre aperta per dire l'indicibile attraverso un poema.

La poesia apre all'Altrove e guarisce dalla frammentarietà del tempo attuale. Attraverso la contemporaneità, in cui il tutto si dà, mette in relazione la molteplicità. Il poeta è in esilio sulla sua stessa terra, sempre alla ricerca di appagare il suo bisogno di esprimersi. Pur essendo e operando nel tempo, la sua voce va oltre il tempo, si fa sacra.
Colui che forgia la parola nella poesia non è il soggetto del linguaggio, ma un altro: la Musa, Dio, l'ispirazione. Dio non parla, ma riceve da un Altrove la parola ispirata, il soffio. 

Eliminando il soggetto, la Musa non fa che portare alla Parola la stessa lingua. Come Paul Valery nei Cahiers, in cui egli supera il limite dell'io senza eliminarlo, indicando nella voce il luogo in cui corpo e linguaggio si incontrano. In un modo indefinito e fino alla morte, Valery andrà sempre alla ricerca di una voce di nessuno, che venga da altrove (diversa da quella del linguaggio).

Proprio nel Dialogo dell'albero, si può individuare ancora lo spazio in cui l'Io, oltrepassando se stesso e superando il linguaggio, può raggiungere la terra in cui noi siamo. Perché l'Uomo, come esprime Luigi Pareyson (in Ontologia della libertà, Adelphi, 1995) è principiato: segno ne è la necessità iniziale per cui egli non può non agire. La stessa libertà è data e non può essere iniziativa se non come iniziata, però il suo essere iniziata deve essere iniziativa. Pertanto vi è coincidenza fra l'atto in cui la libertà è data e l'atto in cui la libertà comincia da se stessi.

Valery, nel Dialogo dell'albero, riconosce lo spazio adatto in cui l'Io, superando il linguaggio e se stesso, può raggiungere la terra, in cui noi realmente siamo, quella che comincia da se stessi.

Se solo raggiungiamo la sorgente delle lacrime, spazio di oscura sostanza, dell'Ineffabile,  ecco che […] ed è là, nel seno stesso delle tenebre, in cui si fondono e si confondono ciò che appartiene alla materia vivente e ciò che appartiene ai nostri ricordi, alle nostre forze e debolezze nascoste, e infine il sentimento informe di non essere sempre esistiti e di dover cessare di esistere, che si trova ciò che ho chiamato la sorgente delle lacrime: l'Ineffabile. Poiché le nostre lacrime sono, a mio avviso, l'espressione della nostra impotenza a esprimere, cioè a disfarci attraverso la parola dell'oppressione di ciò che siamo. Nell'accadere del pianto, chi produce il linguaggio sembra annullarsi per cedere il posto a ciò che si fa trovare al di là della voce e oltre ai bordi muti della parola. (da Ritornare alla sorgente delle lacrime di G. Agamben, L'io, l'occhio, la voce in P. Valery Monsieur Teste Edizioni SE, Milano, 1994)

Un testo in cui si evince tutta l'impotenza di esprimere ciò che si percepisce col pianto, che bagna i limiti della voce.

Paul Celan in Poémes (1989, Le Muy), nell'additare il poema come una tensione verso l'altro, indica il movimento verso la trascendenza, costantemente in esilio. Il poema è visto come l'atto spirituale per eccellenza, tanto da condurre alla terra natale, che, però, non ha nulla a che fare con la nascita.
È una poesia che si dedica all'altro come un poema, senza alcuna presunzione: "la poésie ne s'impose plus, elle s'expose".
È un vivere esposta, quello della poesia, un'attitudine che la mantiene sana.

Sempre sulla scia del divino, che rimane inafferrabile, il poeta si meraviglia e nel contempo trasgredisce, sempre pronto a profanare il recinto dell'ovvietà. Il fare del linguaggio, nel farsi dell'espressione, porta sempre con sé il rischio di alterare ciò che esprime. Quindi, se il fare linguistico di chi pone un fatto nella parola è vero perché è poetico - nel senso che gli dà voce come sua espressione - quel fare diventa falso quando non esprime e non pone nessun fatto (cfr. Salvatore Natoli, L'incessante meraviglia, Filosofia, espressione, verità, Lanfranchi, Milano 1993). Ed ancora, sempre nello stesso tempo, aggiunge "la parola è vera se è efficace, è falsa se non lo è. La parola chiama l'evento, conferma. Se si battono i tamburi perché piova e la pioggia non viene c'è qualcosa di inesatto nel gesto, qualcosa di improprio nel rito. In questo quadro falso è il gesto nullo; e perciò la parola è vuota, la voce che non fa accadere. [..] Qualcosa è efficace perché somiglia a ciò su cui agisce"

Mentre l'espressione indica il fatto, per poter significare deve restare aperta al futuro. E il poeta non sceglie di rimanere chiuso nel già espresso, ma vive in ascolto della flebile traccia ed è sbilanciato su ciò che è ancora esprimibile. E se c'è falsità questa è insita nel linguaggio stesso. 

Poeta dunque è colui che non si lascerà mai ingannare dalla voce suadente della Parola, ma, in uno stato d'animo oscillante tra tensione e inquietudine, ricostruirà sulle macerie.



Commenti

  1. Ottimo spunto di riflessione!! Grazie.

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  2. Grazie infinite Gisella, della tua lettura sempre sensibile e del tuo supporto.

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  3. Grazie, è così vero. Raffaella r.

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  4. Grazie di cuore, Raffaella.

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